Le foreste sono aree molto vaste non antropizzate dove possiamo trovare prevalentemente alberi ad alto fusto. Occupano il 32% delle terre emerse e sono l’ecosistema più ricco di biodiversità: vi si trovano l’80% delle specie terrestri (animali, insetti e piante). Si distinguono secondo la base vegetale dominante:
- foreste conifere, caratterizzate da alberi di conifere sempreverdi quali abeti, pini, sequoie e betulle
- foreste a piante decidue (o foreste a latifoglie), vi troviamo alberi che, con l’arrivo della stagione fredda, perdono le foglie
- foreste a piante sclerofille, dove principalmente troviamo querce, ulivi selvatici, mirti e lecci
- foreste tropicali e pluviali, dove vi sono specie rare e introvabili in altre aree del pianeta
Molto spesso le parole foresta e bosco vengono usate come sinonimi, ma non sono la stessa cosa: di fatto, le foreste occupano aree molto più vaste e risalgono a tempi più antichi. A seconda dell’utilizzo e dell’intervento umano, la FAO identifica tre categorie di foreste:
- le foreste più antiche che non sono mai state tagliate sono dette primarie; negli ultimi anni, a causa della deforestazione e dei cambiamenti climatici (si pensi alle foreste nel Medio Oriente che fornivano legname per la costruzione di navi), il loro numero sta diminuendo in maniera allarmante per far posto ad aree sfruttabili dall’uomo
- le foreste sfruttate per l’utilizzo del legno sono quelle foreste dove è evidente l’intervento dell’uomo ma che, nonostante questo, riescono a mantenere i processi di rigenerazione naturale
- nelle piantagioni di foreste vi troviamo per lo più alberi piantati per mano dell’uomo
L’importanza delle foreste è forse troppo sottovalutata: con il processo di fotosintesi contribuiscono alla riduzione di CO2 nell’atmosfera (responsabile dell’effetto serra) e producono sia ossigeno sia sostanze organiche necessarie per il nutrimento dell’intera biosfera. Inoltre, svolgono una funzione di formazione e protezione del suolo (oltre che dell’aria e dell’acqua), regolano la piovosità dei luoghi e l’azione del vento.
Ricordiamo anche che 1,6 miliardi di persone dipendono dalle foreste, poiché forniscono molte risorse come cibo, carburante, medicine e sono fondamentali per il loro sostentamento. Inoltre, forniscono legna che viene impiegata nell’industria e per la produzione di energia.
Le foreste sono fondamentali per combattere i cambiamenti climatici, ridurre i rischi legati ai disastri naturali e la diffusione di malattie, oltre che per la prosperità e il benessere delle generazioni presenti e future, ma non solo: ricoprono un ruolo cruciale per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.
Nonostante tutto questo, la deforestazione e il degrado forestale persistono a ritmi preoccupanti.
La deforestazione consiste nella distruzione delle foreste per sfruttare quei terrori per le attività umane. Possiamo parlare anche di degrado forestale, che consiste nella perdita graduale delle capacità delle foreste di produrre benefici come legname e biodiversità. La deforestazione sta raggiungendo livelli preoccupanti soprattutto nei Paesi in via di sviluppo; per citarne uno, l’Amazzonia brasiliana “cede” i suoi terreni agli allevamenti intensivi e alle colture destinate al mangime per il bestiame e risorse alimentari per una popolazione in crescita costante. Se si dovesse continuare con questo ritmo di abbattimento, per la metà del XXI secolo la foresta amazzonica sparirebbe. In Paesi come il Brasile, il Congo e in generale la fascia tropicale, dal 1980 ad oggi, hanno perso vastissime aree di foreste per un totale di un milione di km2 di foreste tropicali abbattute, oltre che una parte di biodiversità.
Il pascolo del bestiame e gli allevamenti intensivi occupano i terreni deforestati per il 38,5%, contaminando però il suolo, l’acqua e i mari. Negli allevamenti intensivi, dove vengono allevati animali come polli, maiali, mucche e tacchini (animali che diventeranno cibo), la grande quantità di rifiuti prodotti da un grande numero di animali confinati in un solo luogo è difficile da gestire e smaltire; le conseguenze sono l’inquinamento delle falde acquifere, del suolo, dell’acqua di superficie e dell’aria.
L’agricoltura industriale, in particolare la coltivazione di palma da olio e semi di soia, è responsabile per il 50% della perdita delle foreste. In Europa, la conversione dei terreni forestali in terreni agricoli contribuisce per il 15% alla deforestazione e, di questo 15%, il 20% è sfruttato per il pascolo del bestiame.
Un’altra causa della deforestazione è la domanda da parte dei Paesi ricchi di legname pregiato che si ricava dalle foreste situate delle zone tropicali ed equatoriali. Inoltre, circa due miliardi di persone utilizzano il legname per la combustione (legna da ardere). Oltre a questo, le foreste vengono abbattute per la ricerca e l’estrazione del petrolio.
Le aree di foresta abbattute o bruciate lasciano posto non solo a terreni coltivabili, talvolta non fertili e non redditizi, ma anche alla costruzione di insediamenti umani e alla produzione di legname. Un’eccessivo sfruttamento dei terreni deforestati portano alla perdita di suolo fertile e a una conseguente desertificazione.
Oltre alla deforestazione, anche incendi dolosi, piogge acide, commerci illegali di piante pregiate e i cambiamenti climatici aumentano il numero di specie a rischio di estinzione. Nel 1998, una specie su otto era a rischio di estinzione.
Per ridurre la deforestazione, si dovrebbero diffondere agricolture sostenibili accompagnate da sistemi di rotazione delle colture. Rimedi più vicini a noi sono, ad esempio, stampare meno carta o impiegare fogli fronte-retro cosi da ridurre le quantità di carta utilizzate. Come detto prima, il 38,5% dei territori viene utilizzato per l’allevamento intensivo e il pascolo del bestiame: mangiare meno carne è un altro rimedio accessibile a tutti. Considerando che la pianta più coltivata è la palma da olio, si consiglia di evitare di acquistare alimenti contenenti olio di palma.